Quello che vi propongo è frutto della mia fantasia ed è nato visitando alcune domus dell'area archeologica di Ostia Antica, immaginando la vita di un servo "privilegiato" e dei giochi particolari dei suoi padroni a cui periodicamente prendeva parte. Mi scuso in anticipo per eventuali errori storici commessi.
N.B. I personaggi del racconto si intendono maggiorenni e consenzienti.
Cartago Nova, Sagunto, Valencia, Tarraco e poi ancora Emporiae erano state le tappe del mio ultimo e faticoso viaggio per acquistare pregiati manufatti nelle province iberiche.
Avevo poi affrontato la lunga e impegnativa traversata fino a Ostia passando tra la Sardinia e la Corsica.
Infine, ringraziando Poseidone, ero finalmente riuscito a poggiare nuovamente i miei piedi sulle solide pietre del porto della città.
Il mio nome è Epicide, sono uno dei servi di Ottavio Cornelio, un ricco cittadino romano che vive a Ostia. Dopo anni di onorata servitù mi sono guadagnato la sua più totale fiducia, tanto da essere incaricato da lui personalmente a prendere il mare con una delle sue navi e a gestire per il suo conto i traffici che mantiene con alcuni mercanti delle province dell'Iberia.
Dopo essere sceso dalla nave, lasciandola in custodia ai servi del mio padrone, mi ero recato sulla spiaggia che si trova appena fuori Porta Marina.
Mi ero inginocchiato per baciare la sabbia e rendere omaggio agli dèi che mi avevano concesso il ritorno in terra italica.
Terminati riti di ringraziamento ero tornato sui miei passi, percorrendo al contrario il decumano e andare a riprendere il lavoro che c'era ancora da fare sulla nave.
Tornato alla nave mi ero apprestato a supervisionare gli operai che avrebbero dovuto scaricare le merci sulle chiatte dirette a Roma e ad esigere dai mercanti con cui il mio padrone aveva stretto accordi prima della mia partenza il compenso pattuito.
Infine ero sceso dalla nave, affidandola ai servi incaricati di rimessarla.
Meno di tre stadi mancavano alla fine di quel faticoso viaggio, meno di tre stadi separavano me da quella che era la domus del mio padrone.
Con passo veloce e con un pesante sacco di monete d'oro addosso mi accinsi a fare l'ultimo e più pericoloso tratto del viaggio: quello che dal porto mi avrebbe condotto a casa.
Non era inusuale infatti per uno schiavo carico di monete d'oro, venir fermato lungo le strade di ostia da poveri e malfattori che, sentendo il tintinnare del metallo, si avvicinavano chiedendoti l'elemosina o peggio ancora con l'intenzione di derubarti.
Dopo aver percorso alcune centinaia di passi sul decumano, avevo girato a mano manca sul cardo massimo dirigendomi verso porta Laurentina. Infine avevo girato a mano destra ed ero finalmente entrato nel vestibolo di casa.
Per mia grande fortuna, nessuno durante il percorso aveva intralciato il mio avanzare.
Stanco, sporco, ma sollevato per essere finalmente circondato dalle pareti domestiche, avevo affidato al servo che gestiva la contabilità di casa il sacco di monete e mi ero apprestato, passando dall'atrio, ad andare a lavarmi alla vasca riservata a noi servi.
Nel fare questo ero passato davanti agli appartamenti della mia padrona. Mi ero fermato un istante attirato dai gemiti della mia padrona che provenivano da dentro.
Deciso a rimandare la pulizia del mio corpo, ero entrato nelle stanze della mia padrona a salutare e renderle omaggio.
L'avevo trovata messa a quattro zampe, su uno dei triclini, con la tunica alzata sulla testa e con il sedere nudo in bella mostra.
Accanto a lei Antigone quella che, prima di essere ridotti in schiavitù, era mia moglie.
Sulle natiche della mia padrona riuscivo a scorgere i chiari segni delle recenti frustate, Antigone teneva in mano teneva il frustino, un perverso giocattolo di piacere che la mia padrona era solita usare durante i suoi giochi.
"Sei tornato!" - aveva sussurrato con gioia Antigone alla mia vista, lasciando cadere il frustino a terra e correndomi incontro.
Mi aveva stretto forte a se, cercando di trattenere le lacrime: "Che gli dèi siano lodati! Sia lode a Nettuno!" - aveva esclamato con immenso sollievo.
La mia padrona, era rimasta immobile e in silenzio sul triclinio in attesa di continuare il gioco perverso che aveva iniziato con Antigone: amava farsi punire da mi moglie passando ore e ore a subire di nascosto lussuriose e perverse umiliazioni.
Era rimasta lì, sul triclinio, in trepidante attesa dell'ennesima frustata sul sedere da parte della sua serva prediletta.
"Epicide è tornato!" - aveva annunciato Antigone alla padrona ad alta voce - "Mi aiuterà portare a compimento la punizione che stavi scontando".
Il silenzio della mia padrona era un tacito assenso alla mia partecipazione al rito in corso. Non era la prima volta che accadeva, non sarebbe stata l'ultima.
Antigone mi aveva poi condotto accanto a lei, si era chinata a prendere il frustino per poi scagliarlo con forza su una delle sue natiche.
La padrona da sotto la tunica si lasciò sfuggire un nuovo gemito. Era visibilmente eccitata: da quella mia posizione riuscivo adesso a vedere chiaramente il suo sesso gonfio e bagnato, il clitoride duro e irto e lunghi rivoli del suo nettare scorrerle giù per le gambe.
Dopo aver allungato una mano e averla passata sul suo sesso e aver bagnato le mie dita con il nettare dorato che la mia padrona aveva prodotto, avevo portato al viso la mano per annusare il suo profumo.
Malgrado la stanchezza delle lunghe ed estenuanti giornate di navigazione, quel profumo mi aveva causato una istantanea erezione.
Sentivo il mio sesso duro ed eretto, pronto a soddisfare le voglie della mia padrona.
Antigone mi aiutò a posizionarmi sul triclinio, dietro al sedere della mia padrona.
Puntai il mio glande sull'apertura del suo sesso, muovendolo su e giù per consentire al nettare della mia padrona di lubrificare bene il glande e il resto del mio membro.
Poi affondai lentamente tra le sue carni, causandole un lungo "uhhh" di piacere.
Questo pratiche perverse, tanto adorate dalla mia padrona, erano da tempo stati proibiti in tutte le province romane.
La mia padrona però non era riuscita a farne a meno e, con sua somma gioia, quindici anni prima,
durante la celebrazione dei saturnali, aveva scoperto che avrebbe potuto contare sulla discrezione mia e di Antigone per soddisfare questi suoi desideri proibiti.
Durante tale festa infatti è concesso a schiavi e padroni di mascherarsi assumendo un ruolo a piacere; io e Antigone ci eravamo travestiti da padroni mentre la nostra padrona si era immedesimata con piacere nel ruolo di una nostra serva infedele. Ci aveva chiesto di punirla per un affronto immaginario
che lei aveva fatto a noi e il gioco, tra vino e allegria, era finito nelle sue stanze con delle scudisciate leggere sul suo sedere. Il giorno dopo la padrona ci aveva convocato nelle sue stanze. Io e Antigone temendo di aver esagerato con i nostri ruoli, ci eravamo preparati al peggio.
Con nostro provondo sollievo, però, la padrona ci aveva confessato di aver gradito molto quanto accaduto e, desiderando ripetere quell'esperienza ci aveva chiesto se avrebbe potuto contare sulla nostra discrezione e sulla nostra complicità.
Avevamo accettato di buon grado cercando di organizzare tutto in ogni minimo particolare, in modo da poter celebrare quella perversa liturgia lontano dagli occhi indiscreti degli altri servi ma soprattutto lontano dagli occhi del nostro padrone, ignaro di quei particolari gusti della moglie.
Approfittavamo dei momenti in cui il padrone fosse fuori casa, impegnato in qualche viaggio commerciale.
Nessuno, ad eccezione di me e Antigone, era a conoscenza delle frustate e delle umilianti pratiche sessuali a cui veniva sottoposta la nostra padrona, nessuno doveva sapere che di uno dei suoi servi, il sottoscritto, la montasse senza alcun ritegno.
"Sono tornato, donna Lepida" - le annunciai ritraendomi e affondando nuovamente il mio sesso dentro di lei.
Mi rispose con un gemito di perversa soddisfazione: sentire il mio membro dentro l'aveva rapidamente portata sull'orlo dell'orgasmo.
Ebbi il tempo di affondare per la terza volta dentro di lei, prima di sentirla raggiungere l'apice del piacere.
Sentìi chiaramente le pareti della sua vagina stringersi attorno al mio membro, massaggiarlo e mungerlo con forza.
Avevo provato a chiudere gli occhi cercando di resistere alle ondate piacere che la mia padrona mi stava causando.
Ma sapevo già che sarebbe stata una guerra persa.
Lo sapeva anche Antigone, che mi conosceva forse anche meglio di quanto io conoscessi me stesso.
Si avvicinò a me tenendo con una mano una coppa. Poi, tirando fuori il mio membro dal sesso della mia padrona, lo aveva massaggiato delicatamente con l'altra mano dirigendo nella coppa tutto il mio seme, accumulato durante le lunghe giornate di viaggio.
Rischiai di perdere i sensi, sopraffatto dal potente orgasmo e dalla stanchezza del lungo viaggio.
Le mani sapienti di Antigone continuarono a massaggiarmi fino a spremere l'ultima goccia.
Nel frattempo la mia padrona era tornata a sedersi sul triclinio in smaniosa attesa dell'ultimo atto di quel perverso gioco.
Con incedere solenne Antigone le si era inginocchiata davanti. Poi, con entrambe le mani, le aveva offerto la coppa contenente il mio seme.
"Ti avevo ordinato di non usare 'donna' nel chiamarmi, Epicide. Sai bene che quando giochiamo non sono la vostra padrona, tu e Antigone dovete essere i miei signori" - disse Lepida con voce parzialmente seccata sorseggiando il mio sperma.
"Le chiedo umilmente perdono, mia signora, sarà stata la stanchezza del viaggio, il fatto che negli ultimi tre giorni abbia negato la mia anima alle braccia di Morfeo, e non per ultima la tensione di venire derubato nel raggiungere casa dal porto..." - cercai di giustificarmi
"Ti perdono, Epicide." - mi disse carezzandomi il volto - "Questi giorni di navigazione hanno dato al tuo nettare un sapore particolare, più speziato.
Son contenta che il tuo viaggio oltre a soddisfare gli interessi di mio marito sia servito a soddisfare anche il mio palato" - aggiunse con voce amabile.
"Ne sono onorato, mia signora" - le risposi riconoscente.
Raramente i padroni erano disposti ad ascoltare le scuse dei propri servi, normalmente era botte e basta.
Mi reputavo un privilegiato, non solo per questo.
"Adesso vai a lavarti e a toglierti quelle vesti bisunte. Usa pure la mia vasca per le abluzioni." - mi ordinò - "Ottavio è in viaggio in Apulia e non rientrerà prima di domani. Ti voglio rifocillato e pulito prima di sera"
Era chiaro quale fosse il programma della mia padrona per la serata: dopo cena saremmo tornati a giocare.
"Antigone ti aiuterà." - comandò rivolgendo lo sguardo a lei.
"Sì, padrona" - rispose docilmente Antigone che, rialzatasi, mi prese per mano conducendomi nei bagni della padrona.
Poi mi aiutò a togliermi le vesti logore e a immergermi nella vasca.
Avevo finalmente un istante di intimità con Antigone che non si trattenne dal baciarmi sulla bocca.
Il suo tenero bacio di bentornato, fu seguito da tanti piccoli e dolci baci sul mio volto,
alternati ad innumerevoli ringraziamenti e lodi a tutti gli dèi che, magnanimi, mi avevano risparmiato la vita e mi avevano concesso il ritorno tra le sue braccia.
Se non fosse stato per l'impegno serale con la padrona, quasi sicuramente dopo il bagno saremmo finiti per fatto l'amore.
Soddisfare le voglie perverse della mia padrona ci fece optare per l'astinenza: era ormai divenuta una piacevole abitudine da parte di Lepida alla fine dei suoi giochi perversi bere il mio nettare da una coppa.
Dopo avermi asciugato e vestito, Antigone mi portò nelle stanze della nostra padrona chidendole un paio di ore di intimità insieme a me.
"E sia!" - disse con benevolenza, indicandoci la stanza degli ospiti dove avremmo potuto stare tranquilli per un po'.
Dopo esserci distesi sul letto, Antigone prese dolcemente la mia testa tra le mani, mi baciò teneramente la fronte, la guancia destra, la guancia sinistra, la bocca e accolse infine il mio viso sul suo caldo seno.
"Adesso lascia che Morfeo porti via i segni della stanchezza, amore mio." - mi sussurrò accarezzandomi delicatamente i capelli - "Ti risveglierò appena sarà ora di tornare a giocare con la padrona"
Chiusi gli occhi, felice di essere tornato dalla mia Antigone, la mia casa, il vero perchè della mia vita.
Cenni storici: il racconto è ambientato nell'antica ostia intorno al primo secolo dopo cristo, nel periodo in cui il porto di ostia era ancora in funzione e non erano ancora stati avviati i lavori di costruzione del porto di Traiano. Sebbene le domus più prestigiose presenti nella città risalgano al terzo e quarto secolo dopo cristo, periodo in cui era iniziato il declino della città e in cui le famiglie facoltose acquistavano le vecchie insulae per ricavarne lussuose domus, sono state ritrovate alcune domus nei pressi di porta laurentina risalenti al periodo a cui si riferisce il racconto.