Con questo racconto provo a portarvi nell'antico medioevo, immaginando un luogo prossimo a un campo di battaglia, un cavaliere ferito e il soccorso di una contadinella. Ovviamente si tratta di qualcosa al limite del falso storico tenendo conto che raramente esistevano casi, come quello di Rosina, di piccoli proprietari terrieri mentre erano molto più comuni i casi di servi della gleba. Un ringraziamento particolare va a Gaby, a cui dedico il racconto, per aver cercato e trovato immagini che si adattessero al racconto e per avermi aiutato nella traduzione in spagnolo..
N.B. I protagonisti si intendono maggiorenni e consenzienti
Le campane della chiesa suonavano invitando alla messa vespertina i fedeli del villaggio e delle campagne circostanti.
Rosina aveva da poco lasciato la propria casa appena fuori dal villaggio e si stava incamminando verso la chiesa quando da dietro sentì il rumore di zoccoli sul selciato. Era un cavallo che le si avvicinava con passo lento e incerto accompagnato da strani rumori metallici. Quando il cavallo le fu abbastanza vicino, Rosina si fece da parte per fargli strada dirandosi a guardare chi stesse per superarla. Un cavallo di color nero, con le bardature da guerra e dei vessilli inusuali portava in groppa un cavaliere coperto da una pesante armatura che stentava vistosamente a reggersi. Dopo aver superato Rosina, il cavaliere aveva improvvisamente perso l'equilibrio e cadendo rovinosamente a terra. Il cavallo, fatto qualche metro e non sentendo più il carico addosso, si era fermato.
Rosina era corsa immediatamente in direzione dell'uomo caduto a terra. Fermatasi a pochi passi da lui e lo aveva osservato con timore: l'uomo dentro l'armatura doveva essere ancora vivo, privo di sensi ma vivo; Rosina riusciva a scorgere i lenti movimenti dell'armatura all'altezza dei pettorali da cui si evinceva chiaramente che stava ancora respirando. Decise di soccorrerlo piuttosto che proseguire per il suo cammino. Si dedicò anzitutto al suo destriero: dopo aver afferrato una briglia lo tirò con forza a bordo strada e, avvicinatasi ad un albero lo legò ad un ramo robusto. L'animale dall'aspetto possente per sua fortuna rimase mansueto per tutto il tempo. Tornata sui suoi passi, iniziò ad esaminare il cavaliere chiedendosi quale potesse essere stato il motivo di quella improvvisa e rovinosa caduta: non mostrava ferite evidenti, forse si trattava di banale stanchezza dovuta ad un lungo viaggio che l'uomo aveva affrontato.
"E' ferito, signore?" - chiese timidamente senza ricevere alcuna risposta.
Avvicinò allora le mani all'elmo del cavaliere e con pochi movimenti riuscì a tirarne fuori la testa:
si trattava di un uomo dalla carnagione chiara, biondo, dai capelli ricci lunghi. Sul volto diversi piccoli tagli ed escoriazioni, dovute forse allo sfregamento con l'elmo e i segni di una barba incolta da qualche giorno. Si inginocchiò per osservarlo meglio e mossa da tenerezza usò le mani per sollevare il capo di quell'uomo e metterselo in grembo. A quel punto l'uomo aprì gli occhi: erano di un verde intenso, così intenso da riuscire a far perdere la testa a qualsiasi donna che lo guardasse.
Sebbene sofferente, il suo sguardo era così ammaliante che anche Rosina ne era rimasta affascinata.
L'uomo, dopo aver lentamente messo a fuoco il volto della figura femminile che lo stava osservando, disse con un fil di voce: "Me llamo don Ildefonso de la Vega, me he fugado de una muerte segura en batalla, estoy herido a la pierna derecha".
Sebbene quella lingua non le fosse molto familiare, Rosina aveva capito che si trattava di un cavaliere fuggito da una battaglia e che doveva essere ferito da qualche parte. L'uomo poi, probabilmente stremato dallo sforzo di aver pronunciato quelle poche parole, aveva chiuso gli occhi. Rosina per un istante temette il peggio, credendo che l'uomo le fosse spirato tra le mani. Fortunatamente era solo svenuto; continuava a respirare. Adagiò con estrema cura la testa dell'uomo su un grosso sasso piatto che si trovava accanto a lei, si alzò e corse verso casa in cerca di aiuto.
Appena entrata trovò il marito, Giuseppe, appena tornato dai campi che, vedendola arrivare trafelata le chiese: "Cos'è successo Rosina? Come mai non sei alla messa vespertina?"
"Presto!" - gli rispose con il fiatone - "Prendi mulo e carretto, c'è un uomo ferito non lontano da qui.
E' un cavaliere da un idioma e dai vessilli strani. E' caduto da cavallo mentre stava passando accanto a me."
Giuseppe, sapendo bene dei rischi che un contadino correva se non avesse aiutato un uomo di rango, nonchè pensando al possibile atto di riconoscenza che un nobile in cerca di aiuto avrebbe potuto fare loro, non se lo fece ripetere due volte. Seguì Rosina fino al luogo in cui don Ildefonso giaceva e, con l'aiuto della moglie, riuscì a caricarlo sul carretto. Rosina a quel punto andò a prendere il cavallo che aveva lasciato legato all'albero e insieme al marito si incamminò verso casa.
"Lo teniamo in casa?" - chiese Rosina durante il ritorno
"Non sappiamo se è dei nostri" - disse Giuseppe con cognizione di causa - "Se fosse un fuggiasco e le guardie del re scoprono che lo stiamo ospitando ci uccideranno di sicuro. Finchè non scopriamo chi sia, dobbiamo tenerlo nel fienile. Possiamo sempre dire che eravamo in casa ignari della sua presenza."
Appena arrivati, Rosina corse nel fienile che si trovava dietro la cassa per approntare un giaciglio di fortuna mentre il marito si preoccupò di rifocillare e legare il cavallo. Poi, con l'aiuto della moglie scaricarono l'uomo sul giaciglio e iniziarono poi a spogliarlo dell'armatura.
"Ha una scheggia conficcata nella gamba" - disse Giuseppe guardando tra le gambe dell'uomo - "Vado a cercare il dottore in paese."
Così, mentre Rosina correva in casa per alla ricerca di acqua, panni e bende, il marito, inforcato il ciuchino, prese velocemente la via del villaggio alla ricerca del medico. Tornata nel fienile, Rosina si accorse che don Ildefonso aveva nuovamente aperto gli occhi. Pose la sua testa in grembo, come fatto prima in strada e gli avvicinò alla bocca una tazza di legno colma d'acqua. L'uomo bevve a piccoli sorsi, chiudendo di tanto in tanto gli occhi. Il fatto che riuscisse a deglutire era un buon segno. Rosina attese che l'uomo terminasse il contenuto della tazza prima di riadagiarlo sul giaciglio.
"Como te llamas?" - le chiese a quel punto.
"Rosina, signore, mi chiamo Rosina" - rispose la contadinella intuendo che le stesse chiedendo il nome.
"Rosina...Te agradezco lo que estàs haciendo por mi." - disse l'uomo allungando una mano verso di lei.
Non aveva capitò granchè di quello che l'uomo le aveva appena detto, si sentì di rispondergli: "Non si sforzi, signore, ha bisogno di riposo".
L'uomo sembrò aver capito: chiuse gli occhi respirando lentamente. Rosina sistemò allora il secchio con l'acqua accanto al giaciglio, preparò i panni e le bende che sarebbero sicuramente servite al dottore,
e cominciò a nascondere la bardatura del cavallo e i pezzi dell'armatura dell'uomo tra la paglia. Infine andò in strada ad attendere il ritorno del marito. Non ci volle molto che il marito si ripresentasse insieme al medico.
Il dottore, osservato bene il corpo dell'uomo, disse: "Dobbiamo liberarlo dalla calzamaglia e per curare la ferita."
Prese poi un piccolo coltello e indicò a Giuseppe i movimenti da far fare alle gambe dell'uomo per evitare complicazioni e sfregamenti della ferita. Procedette a lacerare e tagliare la stoffa con il coltello mentre Rosina, preso uno dei panni, lo porse a don Ildefonso facendogli capire che avrebbe dovuto tenere in bocca e stringerlo per sopportare il dolore che presto gli avrebbe procurato il dottore nell'estrarre la scheggia dalla sua ferita.
A questo punto il dottore procedette ad estrarre la scheggia dalla ferita dell'uomo mentre Giuseppe cercava di tenergli ferme le gambe. Rosina non sapendo che fare afferrò le mani di don Ildefonso. L'operazione fu abbastanza dolorosa: don Ildefonso trattenne con fatica le urla di dolore stringendo
con forza i denti e le mani di Rosina mentre il medico scavava nella carne viva e provvedeva ad estrarre la scheggia. Rosina provò una strana eccitazione addosso nel sentirsi stringere le mani con forza da quell'uomo. La sua mente improvvisamente iniziò a vagare e immaginare il corpo nudo e possente di quell'uomo dagli occhi verdi che la spingeva con forza contro la parete e dopo averle tirato su la gonna iniziava a possederla con foga animalesca.
Scosse con forza la testa. Non era il momento adatto per fare quei pensieri impuri: don Ildefonso stava urlando di dolore, probabilmente avrebbe potuto perdere la vita. Il medico nel frattempo, estratta la scheggia, aveva bendato la ferita e rimesso gli attrezzi del mestiere nella sua borsa. Nel frattempo Don Ildefonso, stremato dal dolore, aveva perso nuovamente conoscenza.
"Avete fatto bene a nasconderlo nel fienile" - principiò il medico, mentre Giuseppe gli aveva mostrato i vessilli del cavaliere - "Sono vessilli spagnoli, se le guardie vi trovano con quest'uomo in casa rischiate la morte".
Il medico consigliò loro di continuare a tenerlo nascosto, insieme al cavallo finchè non fosse in grado di riprendere la sua via, ricordando loro che il dovere morale dei buoni cristiani di accogliere e curare il prossimo fosse al di sopra di qualsiasi editto reale.
"Se riesce a superare la notte senza morire credo che ce la farà" - disse infine congedandosi.
I due, dopo aver ringraziato il medico tornarono in casa. Rosina scaldò la zuppa che aveva preparato prima di uscire per andare ad assistere alla messa vespertina. Nel frattempo il marito aveva imbandito la tavola con una forma di pane, un paio di scodelle, una brocca d'acqua e due bicchieri di legno.
"Lo dobbiamo tenere d'occhio" - disse preoccupato.
"Dove vuoi che fugga? Forse non riuscirà a superare la notte." - gli aveva risposto Rosina.
Consumarono il loro pasto frugale continuando a parlare e a cercare di capire il da farsi. Dopo cena Giuseppe aiutò la moglie a portare una scodella di zuppa e del pane a don Ildefonso che nel frattempo era tornato vigile. Sfamarono l'uomo e infine decisero che Rosina rimanesse a vegliare su di lui. Giuseppe, che l'indomani doveva tornare nei campi, sarebbe invece rientrato in casa per dormire ed eventualmente metterli in allerta qualora le guardie avessero bussato alla loro porta. Rosina provò una sorta di imbarazzo nel rimanere sola con quell'uomo: quel fisico possente, il viso attraente e i suoi occhi così belli spinsero nuovamente la contadinella a fare pensieri peccaminosi. Questa volta si immaginò piegata sul tavolo mentre don Ildefonso, dopo averle tirato su la gonna, iniziava a lapparle avidamente il sesso preparandola alla successiva monta.
Cercò di pensare ad altro, di interagire con don Ildefonso e spiegargli cosa aveva detto il dottore e come si erano organizzati per la notte. Sebbene la differenza linguistica fosse un ostacolo tra i due, il cavaliere aveva un'intuito molto spiccato ed aveva realizzato che la contadinella gli sarebbe stata accanto per tutta la notte. In un moto di riconoscenza prese le mani di Rosina nelle sue e, con un gesto lento, le portò alla bocca per baciarle. La povera Rosina rimase letteralmente sconvolta da quel gesto: venne scossa da piacevoli contrazioni al basso ventre mentre sentiva il suo sesso bagnarsi abbondantemente.
Ancora una volta tornò a fare pensieri peccaminosi, immaginando quelle possenti mani stringere vigorosamente il suo petto. Il cavaliere, vedendo arrossire Rosina, intuì che la contadinella non era indifferente al suo fascino. Avrebbe potuto approfittare di lei, erano mesi che non si univa carnalmente ad una donna. Pensò poi alle poche forze che aveva in corpo, alla benda che gli bloccava la gamba e
alla gentilezza di Rosina che si era adoperata per salvargli la vita. Decise infine di tenere a freno i propri bollenti e lussuriosi spiriti. Tornò a sdraiarsi completamente sul giaciglio mentre la dolce Rosina, come aveva fatto più volte durante quella giornata, fece in modo di inginocchiarsiaccanto al cavaliere e di accogliere nel suo grembo la testa di lui. Iniziò a carezzarlo, facendo scorrere le sue mani segnate dal tempo e dalla durezza del lavoro nei campi, sulla pelle e tra i capelli dell'uomo. Don Ildefonso in breve tempo si addormentò.
Rosina ancora una volta cercò di tenere lontani i pensieri impuri. Non riuscì a fare a meno, però, di constatare di non aver mai riservato prima di quella sera un trattamento così dolce ai capelli e alla testa di alcun uomo, nemmeno a suo marito. Le veniva così facile coccolare quell'uomo per il quale provava una strana attrazione morbosa. Era consapevole che con lui non ci sarebbe potuto essere nient'altro che sesso: la diversa posizione sociale dei due, nobile lui, contadina lei, era un'ostacolo insormontabile. Un colpo di testa con don Ildefonso avrebbe potuto distruggere il suo matrimonio: ammesso che don Ildefonso si invaghisse di lei, avrebbe potuto al massimo aspirare a diventare una semplice concubina, un giocattolo sessuale di cui probabilmente il cavaliere si sarebbe presto stancato. Si convinse che era meglio accontentarsi della vita semplice accanto al suo Giuseppe.
Don Ildefonso nel frattempo aveva iniziato ad agitarsi emettendo piccoli lamenti di sofferenza. Rosina, passando le mani sulla fronte del cavaliere, si rese conto che scottava terribilmente.Si diede da fare con il secchio d'acqua e con i panni che aveva vicino: immerse i panni nell'acqua fresca e poi, con estrema delicatezza, li poggiò sulla fronte del cavaliere. Tornò a ripetere quell'operazione più volte durante la notte, finchè la fronte del cavaliere tornò ad essere tiepida. Anche il sonno di don Ildefonso con le luci dell'alba si fece meno agitato.
Esausta per la nottata appena passata, Rosina poggiò un attimo la testa addormentandosi quasi immediatamente.
Venne improvvisamente svegliata dal rumore della porta di casa che
sbatteva. Dopo qualche istante il marito entrò nel fienile e, preparato
ciuchino e carretto, si apprestò a partire per i campi. Rosina, dopo
aver salutato il marito, si alzò e andò in casa a prendere un pezzo di
formaggio e del pane da offrire a don Ildefonso per colazione.
Ritornata
nel fienile si accorse che il giaciglio era vuoto. Non ebbe il tempo di
realizzare cosa stesse accadendo quando si sentì improvvisamente
afferrare alle spalle. Una mano le tappò la bocca impedendole di urlare,
mentre una seconda premuta sul suo ventre spinse il suo corpo contro
quello che doveva essere il corpo dell'uomo che stava dietro di lei.
Rosina
chiuse gli occhi, cercando di realizzare cosa stava accadendo. Sentì da
fuori rumori di carri e zoccoli passare per la strada: dal suono
metallico che di tanto in tanto si udiva, dovevano essere uomini armati.
L'uomo che la teneva a sè era don Ildefonso, l'aveva bloccata in quel
modo per evitare reazioni inconsulte della donna che potessero attirare
l'attenzione delle guardie reali che stavano passando in strada. Dopo
l'iniziale sorpresa i pensieri di Rosina tornarono ad essere
peccaminosi: la possente presa di quell'uomo dietro di sè la faceva
sentire al sicuro. Spinse il sedere all'indietro nella speranza di poter
sentire attraverso la stoffa della gonna la consistenza del membro
dell'uomo.
"Ahora no" - le sussurrò il cavaliere, come se avesse intuito i pensieri peccaminosi della donna.
Rimasero
fermi per un tempo indefinito, finchè don Ildefonso tolse le mani,
liberando Rosina. La mente della contadinella nel frattempo aveva preso a
vagare, immaginando la mano di don Ildefonso scendere verso il basso
ventre, afferrare e stringere con forza il suo pube per tastare da sopra
la gonna se fosse pronta per essere montata. Rosina aveva poi
immaginato di essere spinta a terra e di ritrovarsi carponi a gemere
delle leccate di quell'uomo prima e del membro turgido dentro il suo
sesso poi. Quando sentì allentare la presa di don Ildefonso, le vennero
meno le gambe e scivolò lentamente a terra.
Don Ildefonso le girò attorno e si piegò a guardarla: "Todo bien?" - le sussurrò
Rosina
alzò lo sguardo in direzione dell'uomo: la contadinella aveva il viso
sconvolto, come se avesse provato una sorta di orgasmo. Sollevò le mani
mostrando all'uomo il pezzo di formaggio e il tozzo di pane che era
andata a prendere in casa. Don Ildefonso sorrise, tirò su la donna
prendendola per le mani e successivamente la fece sedere accanto a se
sul giaciglio.
Divisero il formaggio e il pane, alternando le parole ai bocconi.
Don
Ildefonso rimase ad ascoltare la vita di Rosina: di origini contadine,
nata e cresciuta al villaggio, era stata data in sposa senza alcuna dote
a Giuseppe che aveva servito con dedizione e riconoscenza. Non erano
servi della gleba, ma piccoli proprietari terrieri che riuscivano a
vivere di quello che la terra e qualche bestia allevata riusciva a
dargli. Avevano cercato di avere figli; oltre a desiderare un erede di
quel poco che avevano il lavoro nei campi aveva bisogno di nuove
braccia. Fino a quel momento però Dio non era stato generoso con loro.
A
questo punto Rosina volle conoscere la storia di don Ildefonso: era un
nobile cavaliere proveniente dalla Castiglia che si era unito
all'esercito dei francesi per conquistare quel territorio. L'ultima
battaglia, non molto distante da loro, era stata un'autentica
carneficina. Lui, sebbene ferito, era riuscito a fuggire e aveva
iniziato a vagare per i campi in cerca di un rifugio sicuro. Morire sul
campo di battaglia gli avrebbe sicuramente procurato molto onore, ma le
intenzioni di Ildefonso erano quelle di raggiungere le seconde linee
francesi per portare notizie sull'esito della battaglia ed organizzare
un secondo attacco.
A quel punto don Ildefonso provò a mettersi
in piedi, cercando di far capire a Rosina che era pronto a riprendere la
sua via. Un'improvvisa fitta di dolore alla gamba lo costrinse ad
accettare il suggerimento di Rosina di rimettersi sul giaciglio.
Lasciato il cavaliere a riposare Rosina tornò alle faccende domestiche:
pulito il fienile e pasciuto il cavallo tornò in casa a rassettare.
Qualche ora dopo ritornò con un secchio d'acqua e dei panni puliti con
l'intenzione di lavare e vestire don Ildefonso. Cominciò lavargli il
petto, le spalle e le braccia. Ad ogni centimetro di pelle che scorreva
con il panno umido, Rosina emetteva un sospiro a metà tra l'affaticato e
l'eccitato. Poi si dedicò all'addome. Arrivata al pube, Rosina non
aveva potuto fare a meno di notare le dimensioni ragguardevoli che
l'attrezzo del cavaliere aveva, seppure fosse a riposo.
Ancora
una volta i pensieri lussuriosi presero il sopravvento nella mente della
contadinella che iniziò ad accarezzare con insistenza il sesso di don
Ildefonso. Incapace di capire quali fossero le intenzioni reali di
quella contadinella, don Ildefonso rimase immobile ad osservarla, mentre
il suo sesso prendeva lentamente consistenza e turgore sotto il tocco
delle mani di Rosina.
Nel frattempo il corpo di Rosina era in
subbuglio: i suoi occhi erano ormai completamente persi ad ammirare
quell'enorme asta di carne di fronte a lei. Rosina cedette
improvvisamente alla voglia poggiare la sua bocca su quella verga
possente. La baciò con dolcezza facendo scorrere la sua bocca lungo
tutta la sua lunghezza. In breve tempo i piccoli baci diventarono sempre
più intensi e la voglia di sentire sul palato l'erezione di quell'uomo
prese il sopravvento. Rosina aprì infine la bocca per accogliere dentro
di se il sesso di don Ildefonso che, nel sentire attorno al suo membro
quell'improvviso e piacevole tepore si lasciò sfuggire un gemito di
piacere.
La contadinella era davvero brava: nessuna donna mai,
concubina, serva o prostituta che fosse, era mai riuscita a procurargli
quelle sensazioni così piacevoli con la bocca. Avvicinò una mano ai suoi
capelli per carezzarli. Voleva essere un gesto di riconoscenza per
quello che la contadinella le stava facendo. Rosina però non lo aveva
interpretato così: dopo essersì bloccata volse lo sguardo al cavaliere
con l'espressione crucciata di chi non era riuscita a fare il proprio
dovere.
Don Ildefonso a quel punto prese il viso della
contadinella tra le mani e lo avvicinò al suo. La baciò. Fu un bacio
carico di passione, in cui le lingue di entrambi furono protagoniste fin
da subito di guizzi appassionati. Rosina nel frattempo si era tirata su
la gonna e senza interrompere il bacio si era posizionata su don
Ildefonso facendo attenzione a non toccare la ferita. Posizionò la verga
del cavaliere all'ingresso del suo canale diventato ormai voglioso e
rovente e infine spinse per farsi penetrare fino in fondo.
Il
piacere che percorse il corpo di Rosina, sentitasi riempire da quel palo
possente, fu così intenso che la contadinella dovette interrompere il
bacio con il cavaliere per poter gemere di piacere. Quel che seguì fu un
amplesso infuocato in cui il membro di don Ildefonso penetrò nella sua
interezza dentro le carni dell'infoiata contadina che non tardò a venire
e a irrorare e lubrificare con abbondanti succhi la verga del prode
cavaliere.
Rosina, ormai smarrita nel labirinto del peccato,
tornò dopo poco tempo a muoversi su don Ildefonso con rinnovato vigore e
cavalcarlo senza darsi pace alcuna. I suoi gemiti tornarono a risuonare
nel fienile. Don Ildefonso fece fatica a tener testa alla foga
lussuriosa della contadinella che ormai,
senza alcuna inibizione,
continuava a muoversi su di lui freneticamente. Ci volle l'orgasmo del
cavaliere e sette potenti e abbondanti schizzi nella vagina assetata di
Rosina per riuscire a calmare l'ardore e la passione della contadinella.
Mentre il seme del cavaliere scorreva dentro la sua carne Rosina venne
sconvolta dall'ennesimo orgasmo che la lasciò priva di fiato e di forze.
Si
accoccolò sul petto del cavaliere a riprendere fiato. Don Ildefonso le
tornò a carezzare i capelli con dolcezza. Rosina ebbe la sensazione di
tornare bambina, quando, alla fine della giornata, correva nel letto dei
suoi genitori e, poggiata la testa sul petto di suo padre, si lasciava
accarezzare teneramente i capelli prima che il sonno si impossessasse di
lei.
Fu il primo amplesso di quel giorno.
Dopo aver
ripreso fiato, Rosina tornò a stuzzicare il membro di don Ildefonso,
dimostrando al cavaliere di non essere riuscita a placare completamente
il suo appetito sessuale. Dopo aver fatto riprendere turgore al membro
del cavaliere Rosina si alzò dal giaciglio e si andò a posizionare lungo
una parete della stalla. Si tolse lentamente la gonna, mostrando a don
Ildefonso il suo sesso nudo ancora grondante di sperma che lentamente le
colava lungo le gambe. Lo sguardo invitante di Rosina era
inequivocabile: desiderava essere posseduta in piedi, contro la parete,
realizzando così uno dei sogni proibiti che quel cavaliere le aveva
fatto fare.
Don Ildefonso non potè fare altro che assecondare il
desiderio della contadina. Si alzò, la raggiunse e la baciò, premendola
contro la parete. Spinse poi il suo membro dentro il suo accogliente
sesso e cominciò nuovamente a montarla bloccandole le mani con le sue
contro la parete.
L'orgasmo di Rosina non tardò ad arrivare.
Divincolatasi dalla bocca dal cavaliere, urlò nelle orecchie di lui
tutto il piacere che stava provando, gemendo con forza. Don Ildefonso
rallentò il ritmo dei suoi colpi per permettere alla contadinella di
riprendersi dai postumi del precedente orgasmo. Poi, man mano che Rosina
ricominciava a gemere in modo sempre più forte, tornò a possederla con
colpi sempre più possenti e decisi che facevano vibrare oltre al corpo
della donna anche la parete contro cui era bloccata.
Rosina,
colta da un improvviso attimo di lucidità, cercò di soffocare i gemiti:
sapeva che il suono della sua voce avrebbe potuto attirare qualcuno che
transitava in strada accanto alla casa e mettere in pericolo
l'incolumità sua e del fuggiasco che stava ospitando. Ma riuscire a
contenere quella furia di uomo davanti a lei e impedire a se stessa di
esprimere liberamente il piacere che lui le stava dando era un'impresa
ardua. Rosina cominciò ad agitare la testa, senza riuscire a trattenersi
dal gemere. Trovò improvvisamente nella spalla del cavaliere la
soluzione al suo problema: aprì la bocca e affondò nelle carni del
cavaliere i suoi denti. Iniziò a gemere scaricando contro la pelle di
don Ildefonso il suono della sua voce.
Nel frattempo la fatica e
il dolore alla ferita cominciava a farsi sentire sul cavaliere che, per
evitare di perdere le forze e collassare a terra, afferrò le natiche
della contadina e, sollevatala di peso la andò ad adagiare sul giaciglio
per poi posizionarsi su di lei. Rosina si lasciò montare giacendo sotto
di lui, godendo del suo palo di carne che entrava nelle sue carni per
tutta la sua lunghezza. Tornò a cercare la spalla del cavaliere per
tenere a freno le urla di godimento, ma prima che potesse riuscirvi
l'ennesimo orgasmo sconvolse il suo corpo facendolo irrigidire. Inarcò
la schiena e spinse la testa all'indietro. Le sue pupille sparirono
sotto alle palpebre superiori, spalancò la bocca per emettere un urlo
inumano che, per fortuna, rimase sordo. Don Ildefonso basito dal piacere
che era riuscito a far provare alla contadinella si abbandonò al
piacere dell'orgasmo liberando dentro di lei una nuova serie di scariche
di sperma che misero fine a quell'amplesso lussurioso.
Giacquero
entrambi sfiniti sul giaciglio, don Idelfonso con la testa affondata
nel petto di Rosina che aveva preso a carezzare con dolcezza i capelli
del cavaliere. Delle piccole lacrime ai bordi degli occhi della
contadinella fecero capolino, rigando lentamente le gote di Rosina.
Lacrime di gioia, per essere riuscita a farsi possedere da un uomo molto
più virile e possente di suo marito Giuseppe, per aver toccato apici
del piacere mai immaginati nemmeno nei sogni più reconditi. Lacrime di
tristezza, per aver tradito i principi cristiani del matrimonio, la
fiducia del marito, per essersi concessa ad un estraneo, per essere
consapevole di provare verso la persona che giaceva sopra di lei
sentimenti più profondi della semplice attrazione fisica.
Le
campane della chiesa annunciarono il meriggio. Il tempo passato a
fornicare con il cavaliere era praticamente volato e Rosina aveva ancora
tante cose da fare in casa. Don Ildefonso intuì dal tocco delle mani
della contadinella che era ora di lasciare Rosina alle sue faccende. Si
sollevò permettendole di sgattaiolare da sotto per poi tornare a
distendersi sul giaciglio. Era sfinito per lo sforzo, ma completamente
appagato.
Seguì con gli occhi Rosina che, recuperata la gonna, si
ricompose in fretta. Prima di sparire dal fienile la contadinella si
avvicinò a don Ildefonso, lo baciò teneramente sulla fronte sudata
dicendogli: "Riposati, io torno in casa"
Abbandonato il fienile
Rosina ripensò per un istante a quello che aveva appena detto a don
Ildefonso: era passata dal rispettoso voi al semplice tu. Accennò un
lieve sorriso mentre apriva la porta ed entrava in casa, dentro di se
sentiva che quanto accaduto quella mattina l'aveva legata per sempre al
cavaliere.
Preparò il pranzo, decidendo di portare il pasto a don
Ildefonso e mangiare successivamente da sola in casa. Così facendo
avrebbe dato meno nell'occhio, senza contare che con una sola scodella
in mano avrebbe avuto meno impacci nel trasportare il cibo nel fienile.
Tornata
nel fienile vide don Ildefonso sdraiato sul giaciglio, si era girato
dal lato della parete. Sembrava avesse preso sonno. Poggiò la scodella e
il pane su una balla di fieno, si avvicinò lentamente a lui e gli pose
una mano sulla spalla per svegliarlo.
Don Ildefonso si girò lentamente. quando il suo sguardo incrociò gli occhi di Rosina sorrise.
"Rosina" - sussurrò don Ildefonso alla contadinella contento di vederla nuovamente accanto a lei.
Rosina provò un brivido lungo la schiena, mentre piacevoli contrazioni scuotevano il suo basso ventre: non erano solo quei bellissimi occhi verdi a mettere in subbuglio la sua mente, ma anche il suono della sua voce, il fatto che avesse pronunciato il suo nome, il sorriso che aveva illuminato il suo viso nell'incrociare il suo sguardo.
"Il pranzo..." - disse con un fil di voce la contadinella.
Prima che Rosina potesse fare qualsiasi cosa, don Ildefonso raggiunse con le sue mani quelle della contadinella e le strinse a se.
"Gracias, por todo lo que estàs haciendo por mi. Un dìa te recompensaré" - le disse con voce riconoscente.
Quel gesto improvviso, il suono della sua voce, il suo sguardo intenso: Rosina si sentiva come una piuma leggera soffiata via dal vento verso il cielo. Istintivamente avvicinò la sua bocca a quella di don Ildefonso, poggiò con tenerezza le sue labbra a quelle del cavaliere per dargli un bacio dolcissimo. Il cuore di don Ildefonso non rimase indifferente, improvvisamente il cavaliere si rese conto di provare qualcosa di più che semplice riconoscenza nei confronti della contadinella. Avrebbe voluto dirle "ti amo", o qualsiasi altra cosa che potesse farle capire cosa stesse provando per lei, ma ebbe paura di rovinare quel momento divenuto magico grazie a quell'ultimo bacio.
Fu Rosina a decidere di interrompere l'idillio, allontanandosi da don Ildefonso e andando a prendere la scodella e il pane che aveva lasciato sulla balla di fieno. Si inginocchiò accanto al giaciglio porgendogli il cibo.
"Tu has comido?" - chiese lei don Ildefonso, sorpreso dal fatto che ci fosse una sola scodella.
"No, ho lasciato il mio pranzo in casa, mangerò dopo" - rispose la contadinella intuendo il significato della domanda del cavaliere.
A quel punto don Ildefonso prese il cibo e lo adagiò sul giaciglio.
Con un gesto carico di tenerezza cinse con le mani il viso della contadinella: "No quiero comer sòlo...he hecho el amor con tigo, quiero dividir tambien mi comida con tigo".
Ancora una volta la mente di Rosina era in subbuglio; le mani che cingevano il suo viso, la voce melodiosa del cavaliere nelle sue orecchie, gli occhi che la fissavano ed infine quella parola, che nessuno dei due fino a quel momento aveva avuto mai il coraggio di pronunciare: amor, amore. Don Ildefonso aveva appena ammesso di aver fatto con lei l'amore. Non era stato solo qualcosa di fisico, era qualcosa di più: i sentimenti proibiti della contadinella erano corrisposti dal cavaliere.
A quel punto Rosina si alzò in piedi e si sedette accanto a don Ildefonso sul giaciglio. Divisero il pasto: don Ildefonso dopo aver attinto del cibo dalla scodella lo passava a Rosina rimanendo a fissarla mentre questa consumava la sua parte. Terminato il pasto i due si distesero sul giaciglio e cominciarono a carezzarsi teneramente. Per un istante don Ildefonso pensò a quello che sarebbe stato dopo: sentiva di non riuscire più a separarsi da Rosina. L'avrebbe potuta rapire, portandola con se, ma la loro vita insieme sarebbe stata impossibile: Rosina sarebbe rimasta una contadinella, sarebbe stato impossibile riuscire a procurarle un titolo nobiliare per elevarla di rango e infine poterla sposare. Già, sposare. Rosina era già unita in matrimonio ad un altro uomo e annullare quel matrimonio sarebbe stata
un'impresa tuttaltro che facile. E poi c'era la guerra ancora in corso a cui pensare, la battaglia da cui era fuggito, il rischio di venir catturato e ucciso dal nemico.
Venne distolto da quei pensieri dalla mano di Rosina che, carezzando il suo petto e l'addome si era spinta tra le sue gambe a stuzzicare il suo membro. La contadinella aveva nuovamente preso a guardarlo con espressione lussuriosa. Sotto al tocco magico delle sue mani il suo sesso era lentamente tornato in piena erezione. Rosina continuava a massaggiarlo lentamente, aspettando che don Ildefonso prendesse l'iniziativa e tornasse a possederla. Il cavaliere decise che voleva tornare a sentire la bocca della contadina sul suo membro: si mise in piedi e le puntò la verga sulla bocca.
Rosina sembrò capire al volo. Iniziò a baciare con dolcezza il sesso del cavaliere, a tastare e assaporare il turgore di don Ildefonso per accoglierlo dopo alcuni baci dentro la sua bocca. Il cavaliere sospirò di piacere nel sentire il tepore della bocca della contadina avvolgere improvvisamente il suo sesso. Rosina, sentendo don Ildefonso eccitato, continuò il lavoro iniziato con la bocca aiutandosi con le mani. Don Ildefonso, sebbene il piacere fosse intenso e avrebbe facilmente raggiunto l'orgasmo, decise di voler condividere il piacere con Rosina; si staccò da lei carezzandole teneramente il volto. Rosina ancora una volta sembrò intuire le intenzioni del cavaliere e, messasi carponi sul giaciglio, si alzò la gonna invitandolo a prenderla.
Don Ildefonso, posizionatosi dietro, affondò lentamente la sua verga nel sesso della contadina, dando inizio ad un nuovo amplesso. I movimenti dei due divennero via via sempre più veloci e frenetici. Sotto ai ripetuti colpi della sua verga, Rosina diveniva sempre più irrequieta e agitata. Don Ildefonso ebbe l'impressione di stare cavalcando un giovane e ribelle giumenta che con movimenti sempre più violenti e inconsulti sembrava cercare di divincolarsi da lui. Esattamente come avrebbe fatto con una giovane cavalla da domare, don Ildefonso afferrò i capelli della contadina strattonandoli con forza e iniziando
a dettare lui il ritmo della cavalcata.
Quel gesto così forte e determinato spinse Rosina inesorabilmente all'orgasmo: sentirsi domata e soggiogata in quel modo amplificava mille e mille volte ancora il già intenso piacere che la verga del cavaliere le procurava ad ogni affondo. Emise un lungo gemito di piacere, cadenzato dai colpi inferti dal cavaliere. Don Ildefonso era letteralmente estasiato dal piacere che era in grado di procurare a quella contadinella. Osò spingersi oltre: piuttosto che allentare la presa dai capelli della contadinella e concederle una pausa, decise di afferarla per la gola e tirarla a sè.
Rosina non ebbe il tempo di godersi le ultime ondate di piacere del primo orgasmo: un secondo orgasmo, più devastante e intenso la fece tremare. Rosina con il volto sconvolto e paonazzo in preda a convulsioni sempre più intense arrivò quasi a perdere conoscenza.
Lo spettacolo che diede a don Ildefonso fu indescrivibile: il cavaliere non riuscì a resistere oltre e si abbandonò anche lui ai piaceri dell'orgasmo, scaricando ancora una volta tutto il suo piacere nell'accogliente sesso della contadinella.
Rosina si ritrovò improvvisamente con il volto sul giaciglio. Ansimava pesantemente, dalla sua bocca continuavano ad uscire dei suoni simili a gemiti. Ancora una volta si era concessa al cavaliere, ancora una volta aveva goduto in modo indescrivibile, spingendosi in luoghi del piacere mai esplorati fino a quel momento. Don Ildefonso, dietro di lei, con il suo membro ben piantato dentro le sue viscere, era riuscito a non crollare sul corpo della contadinella: ansimava vistosamente reggendosi sulle mani poggiate sui fianchi di Rosina.
Non ci furono altri amplessi quel giorno. Rosina, dopo essersi congedata da don Ildefonso, tornò in casa e si affrettò a rassettarla e a svolgere le mansioni indispensabili. Tralasciò la messa vespertina, cercando di recuperare il tempo dedicato al cavaliere e facendo trovare la casa in uno stato decoroso al rientro del marito dai campi.
Quella sera lei e il marito cenarono in casa. Rosina chiese poi a Giuseppe di portare la cena a don Ildefonso, evitando così di rivedere il cavaliere. Rivedere don Ildefonso dopo tutti quei folli amplessi significava e rischiare che il marito scoprisse dai suoi sguardi cosa fosse accaduto tra lei e il cavaliere.
Nei giorni seguenti, Rosina continuò a fare il minimo indispensabile in casa, per dedicarsi anima e corpo al prode cavaliere. Saltò le quotidiane messe a cui suoleva andare per dedicarsi a dare e ricevere amore con il suo corpo. Pregò, con somma devozione, il cavaliere di possederla fino in fondo,
di farla sua e di liberare dentro di lei il suo seme rovente.
Fu accontentata più volte, non solo nel fienile, ma anche sul talamo nuziale in casa, sul tavolo della cucina, piegata in avanti proprio come aveva fantasticato qualche giono prima ed infine anche in quella posizione in cui lui, da dietro, l'aveva improvvisamente afferrata tappandole la bocca per paura che le guardie reali li potessero scoprire.
Il marito Giuseppe rimase ignaro di tutto, anche dopo la partenza del cavaliere. Quando don Ildefonso, guarito, riprese la sua strada, i due contadini tornarono alla vita quotidiana, sollevati di non avere più in casa un fuggiasco. Don Ildefonso riuscì a raggiungere le linee francesi e a riferire importanti dettagli della battaglia da cui era riuscito a fuggire senza perdere la vita. Le sorti della guerra dopo diversi avvenimenti divennero favorevoli all'esercito francese che riuscì a sconfiggere in modo definitivo le truppe reali.
Don Ildefonso, celebrato e osannato come eroe di guerra, chiese ed ottenne come compenso diversi possedimenti attorno al villaggio di Rosina. Decise di donare alcune di queste terre al medico che l'aveva curato. A Rosinà donò alcuni possedimenti come dote, esigendo che le nozze tra lei e il marito Giuseppe si celebrassero nuovamente. Presenziò le nozze, benedicendo gli sposi. La benedizione del cavaliere sui due contadini ebbe un effetto definito miracoloso da parte di alcuni: a distanza di alcuni mesi Rosina diede alla luce un bellissimo bambino dai capelli biondi e dagli occhi verdi.
Don Ildefonso decise infine di stabilire la propria dimora al villaggio, permettendo così alla riconoscente e amorevole contadinella di fargli visita settimanale per portargli in dono frutta e formaggi. Rosina ricevette dal cavaliere ad ogni sua visita altre preziose sementi che le permisero di allargare la propria famiglia, dando alla luce altri due pargoli.