Racconto ambientato negli anni 90 ricco di pahtos quello che vi propongo adesso. Quando si è giovani si tende spesso a prendere tutto alla leggera, a giocare con i sentimenti e a ferirsi profondamente; sono cambiati i tempi ma in buona sostanza non i costumi.
Viviana è il nome della mia ex. E' stata la mia prima cotta, il mio primo grande amore, la mia prima delusione. Con lei avevo scoperto le gioie del sesso, a lei avevo giurato il mio amore eterno, con lei sognavo il mio 'vissero felici e contenti'. Ma la vita non è una favola e il lieto fine, soprattutto quando si è ragazzi, raramente arriva. Arrivò invece il giorno della prima delusione e della conseguente prima profonda sofferenza interiore causata quando ci si lascia.
Erano i primi anni novanta, non c'erano tanti modi per lasciarsi o venir lasciati, non esistevano i messaggini sul telefono: le cose si dicevano in faccia o al massimo per telefono. A me era toccato forse il metodo più crudele, quello in cui lei, con espressione quasi indifferente, mi aveva guardato e mi aveva detto: "Non provo più nulla per te".
Quelle poche parole avevano mandato in frantumi il mio cuore, il dolore era stato così forte da dover fuggire da lei e cercare rifugio in camera mia. In quel momento l'amavo così tanto da non riuscire a capire che lei, in cuor suo, mi aveva mentito. Non ebbi più il coraggio di cercarla. Provai a procurarmi del male fisico, procurandomi dei tagli ai polsi, cercando invano di distrarre la mia mente dal dolore interiore.
Ci vollero diversi giorni per riuscire ad accettare quella nuova normalità, diversi giorni per riuscire ad aver il coraggio di tornare a scuola e affrontare amici e compagni. Il fatto che lei non frequentasse la mia scuola, che ci fossero poche occasioni di incontrarla, aveva probabilmente accelerato la mia 'guarigione'. Dopo qualche settimana ero tornato a sorridere. I miei compagni di classe, nonchè i miei amici burloni avevano fatto molto per farmi riacquistare la serenità interiore cercando di starmi vicino e interagire il più possibile con me.
Accadde poi che ad una festa avessi fatto la conoscenza con una ragazza con cui avevo legato fin da subito. Era carina, simpatica, mi piaceva. Mi aveva fatto capire che le interessavo, che voleva approfondire la mia conoscenza. Ci eravamo scambiati i numeri di telefono, avevamo iniziato a chiamarci a casa e, dopo qualche tempo, avevamo iniziato a uscire insieme. Anche lei, come la mia ex, non frequentava la mia scuola, non viveva nemmeno nel mio paesino, abitava in uno non molto distante dal mio, ma fortunatamente il mio motorino riusciva a risolvere il problema. L'interesse nel conoscerci e frequentarci era divenuto ben presto qualcosa di più e alla fine ci eravamo messi insieme.
Arrivò il giorno della verità, quello in cui incontrai dopo tanto tempo Viviana. L'avevo incontrata per caso per strada. Avrei potuto far finta di non vederla, ma sarebbe stato troppo tardi per darmela a gambe: mi avrebbe visto e fuggire e avrei fatto una figura da poppante. Decisi di affrontare la realtà, la salutai, mi avvicinai a lei, l'abbracciai come si fa dalle mie parti quando non ci si vede per tanto tempo. Le chiesi come le andava la vita. Mi rispose di stare bene, di essere contenta di avermi rivisto. Non ebbi il coraggio di chiederle se si fosse fatta un nuovo ragazzo, ero intenzionato a chiudere quella conversazione prima possibile. Sebbene avessi superato la paura di affrontarla e il trauma della rottura, guardare i suoi occhi e ricordare il suo "non provo più nulla per te", mi metteva addosso una strana ansia. Dopo lo scambio di alcune battute e dopo esserci abbracciati ancora una volta ognuno riprese la sua strada. Provai un enorme sollievo nell'allontanarmi da lei: avevo superato indenne anche quella sorta di esame a cui la vita mi aveva sottoposto, pensavo di essere riuscito finalmente a voltar pagina, di aver messo un punto definitivo alla mia storia con Viviana.
Nei giorni seguenti le uscite con la mia nuova ragazza diventarono sempre più frequenti. Decisi di presentarla ai miei amici e di introdurla alla combriccola che normalmente frequentavo. Venne accolta come se fosse stata loro amica da sempre. Con la presentazione ai miei amici ero sicuro che presto Viviana avrebbe saputo della mia nuova ragazza. Il giorno che ci vide insieme decisi di baciarla, assicurandomi che Viviana ci stesse guardando proprio nel momento in cui lo stavo facendo. Quella volta baciai la mia nuova ragazza più per vendetta nei confronti di Viviana che per amore. Provai una sorta di soddisfazione interiore, molto più intensa del giorno in cui, dopo tanto tempo, avevo rivisto Viviana.
Viviana smise di frequentare il giro di amici che avevamo in comune. Seppi che aveva iniziato a frequentare altre compagnie poco raccomandabili. Ma non mi importò più di tanto: ormai le nostre strade si erano divise.
Poi la terribile notizia: un'amica, rimasta in contatto con Viviana, mi fece sapere che Viviana era finita in ospedale. Prima di metterci insieme con Viviana eravamo stati buoni amici; in nome di quella vecchia amicizia, avevo deciso di capire cosa le fosse successo. Cercai di informarmi tramite amici e conoscenti sul perchè di quel suo ricovero, apprendendo con sgomento che Viviana era finita al pronto soccorso in overdose e che era riuscita a salvarsi per miracolo. In quel periodo la droga cominciava a far capolino tra i giovani e a mietere tante vittime, sapere che Viviana fosse finita in quel giro, che aveva rischiato di morire mi aveva lasciato profondamente scosso. Decisi di andarla a trovare in ospedale.
Quel giorno in camera, accanto a lei, c'era sua madre che, vedendomi arrivare, mi salutò affettuosamente. Decise di lasciarci soli, credendo che io e lei stessimo ancora insieme. Non mi meravigliai più di tanto: Viviana non aveva un buon rapporto con i suoi, la barriera comunicativa tra la mia generazione e quella dei genitori era molto frequente in quel periodo.
Mi avvicinai lentamente al suo letto. Viviana aveva gli occhi chiusi, sembrava che stesse riposando. Una macchina accanto a lei misurava i battiti del cuore emettendo periodicamente un bip. Un piccolo respiratore era collegato ad un tubicino che entrava nelle narici di Viviana. Rimasi a guardarla in silenzio. Sebbene avesse delle vistose occhiaie e i capelli spettinati ai miei occhi appariva comunque tremendamente bella. Avvicinai la mia mano alla sua e le accarezzai le dita. A quel punto Viviana aprì gli occhi e si accorse della mia presenza.
"Hey, ciaooo" - le sussurrai dolcemente mentre i suoi occhi incontravano i miei.
Viviana mi strinse la mano e tentò di muoversi facendo aumentare vertiginosamente la frequenza di quel bip che emetteva la macchina accanto a lei. Sebbene non ne capissi nulla di medicina, era chiaro che Viviana con quei movimenti stesse facendo uno sforzo inutile. Portai una mano sulla sua fronte e, cercando di convincerla a rimanere distesa sul letto, le sussurrai: "No, no...stai giù. Mi avvicino io a te"
Mi allontanai da lei un istante per prendere una sedia e sedermi accanto a lei.
Presi nuovamente la sua mano nella mia, restando a guardarla in silenzio. Soffrivo nel vederla in quello stato. Probabilmente avevo gli occhi lucidi. Lei continuava a fissarmi. Non sapevo se fosse in grado di poter parlare. Una lacrima lentamente stava rigando una delle sue guance.
"Sono una cretina" - disse con un filo di voce.
Pensavo si riferisse allo stato in cui si era ridotta: "Non fa nulla, Viviana, adesso sei al sicuro. Sono certo che ti rimetterai presto" - le dissi.
"Sono una cretina..." - tornò a ripetere - "...non avrei dovuto lasciarti andare via".
Quelle parole mi avevano lasciato sorpreso e al tempo stesso sconvolto.
"Ricordi il giorno che ci siamo messi insieme?" - mi chiese allora
"Viviana, devi riposare, devi riprenderti, non sforzarti" - avevo provato a dirle.
In realtà non avevo paura che si sforzasse a parlare ma che iniziasse a ricordare i momenti passati insieme, a tirare fuori ricordi che mi avevano fatto soffrire anche troppo dopo che ci eravamo lasciati.
"...eri caduto in motorino e per fortuna ti eri solo fatto alcune ferite non gravi..." - continuò a dire, decisa a proseguire con quel ricordo - "...ero venuta a trovarti a casa. Ti urlai in faccia quanto fossi stato deficiente e quanto grande fosse stata la cazzata di prendere il motorino per andare
insieme a Valeria a vedere il mare in pieno inverno"
Valeria era una nostra amica comune, un tipo molto bizzarro che amava fare follie come scappare in motorino dal paese e dalla routine quotidiana, per fare tanti chilometri di strada e arrivare nei posti più improbabili solo per il piacere di farlo. Quella volta era riuscita a coinvolgere me in quel progetto folle di prendere il motorino e fare 60km di strade tortuose e pericolose per andare a vedere il mare in tempesta. Una buca a pochi chilometri dall'arrivo e la successiva rovinosa caduta, per fortuna senza gravi conseguenze, mise fine a quel folle progetto. Quando Viviana mi venne a trovare a casa e mi vide pieno di ferite, di croste alle gambe e alle braccia e apprese cosa avevo fatto, perse letteralmente la testa: mi insultò pesantemente e si mostrò molto più preoccupata di tutti gli altri amici che erano passati a visitarmi. Quel giorno mi confessò di aver temuto per me e di provare qualcosa di più di un semplice sentimento di amicizia, mi confessò di essere gelosa di Valeria e di essere innamorata di me. La scoperta di essere amato da quella che per me era un'amica molto speciale mi lasciò letteralmente sconvolto. Quel giorno Viviana, rossa in volto, più per la vergogna che per la rabbia, mi baciò sulla bocca.
Viviana cominciò a farmi visita ogni giorno. Ogni giorno finivamo chiusi in camera mia a guardarci negli occhi, a sfiorarci, a baciarci, incerti su cosa fare e come farlo. Man mano che le mie ferite guarivano le carezze e i baci con lei diventavano sempre più intensi, appassionati, intimi. Mi permise di far scivolare le mie mani sotto la stoffa, di raggiungere il suo seno, di intrufolarmi tra le sue gambe.
Apparteneva a lei il primo sesso bagnato ed eccitato toccato in vita mia.
Apparteneva a lei il primo gemito di piacere di una donna reale udito dalle mie orecchie.
Apparteneva a lei il primo orgasmo femminile che le mie dita erano riuscite a far provare ad una donna.
"Ricordi il giorno in cui abbiamo fatto l'amore?" - mi chiese allora Viviana.
"Viviana, ti prego..." - cercai di fermarla, inutilmente.
Vivana era decisa a rispondere per me alla domanda che aveva appena fatto. Accadde il giorno della sua ennesima visita: dopo essere entrata in camera mia aveva chiuso a chiave la porta dietro di sè. Ero seduto sul letto. Lei si era avvicinata lentamente e dopo avermi chiesto come stavo si era seduta accanto a me e mi aveva baciato buttandomi le braccia al collo. Quel giorno Viviana sembrava più agitata del solito, probabilmente sapeva già dove voleva spingersi. Mentre mi baciava aveva cominciato con una mano a sbottonarmi la camicia per poi continuare con i bottoni dei pantaloni. Aveva poi interrotto il nostro bacio per togliersi la maglietta e il reggiseno, mostrandomi per la prima volta quello che tante volte avevo raggiunto con le mani ma mai avevo visto con gli occhi: il suo seno. Lo avevo carezzato con la delicatezza di chi teme di rompere una cosa fragile e delicata come una pregiata porcellana. Avevo carezzato i suoi capezzoli duri, facendola tremare di piacere. Avevo poi posato le mie labbra sul suo seno, strappandole un gemito di piacere. Le avevo succhiato i capezzoli, mentre le mie mani le avevano carezzato la schiena nuda ed erano poi scivolate giù fino alla gonna, afferrandole il sedere.
Viviana si era poi staccata da me, si era spogliata completamente e aveva atteso che facessi anche io lo stesso. Eravamo finiti sul letto sdraiati, abbracciati, nudi. Avevamo iniziato nuovamente a farci le coccole per passare pian piano a baci e carezze sempre più spinti e caldi. Ero tornato a succhiarle i capezzoli mentre una mia mano, incerta, era scesa a carezzarla tra le gambe.
Viviana aveva infine montato su di me e, fissandomi negli occhi, aveva guidato il mio membro all'imboccatura del suo sesso. Mi aveva accolto lentamente dentro di se. S'era fatta sfuggire qualche lacrima mentre sentiva il suo pube sfiorare il mio e i miei testicoli toccare il suo sedere. Aveva perso così la sua verginità, muovendosi su di me e spingendomi fino in fondo. Avevo perso così la mia verginità, sussurrandole 'ti amo' mentre il mio membro, centimetro dopo centimetro, era sparito completamente dentro di lei. L'avevo trovata stretta, terribilmente stretta, ma calda, accogliente, lubrificata.
Viviana aveva poi cominciato a muoversi su di me, piantando le sue mani sul mio petto e accelerando gradualmente il ritmo. Era riuscita a raggiungere l'orgasmo qualche istante prima di me che, con un movimento repentino e improvviso del bacino ero riuscito a disarcionarla un attimo prima di spruzzare il primo schizzo di piacere. Il mio sperma era finito quasi tutto sul suo corpo, imperlando la sua schiena e i suoi capelli. Una risata liberatoria aveva infine rotto la tensione erotica che c'era stata tra di noi fino a quel momento.
A quella prima volta seguirono tante altre prime volte. Imparammo ad usare il preservativo, a godere del sesso orale, scoprimmo nuove ed eccitanti posizioni.
"Ero arrivata a settemilaquattrocentotrentadue...ricordi?" - mi sussurrò Viviana mentre le sue guance erano ormai rigate dalle lacrime.
"Già, tenevi il conto di tutte le volte che ti dicevo ti amo..." - le avevo risposto senza più trattenere le lacrime.
"Sono stata una cretina..." - mi disse con un filo di voce - "...una stupida a seguire il consiglio di Valeria"
"Che...consiglio?" - le chiesi guardandola con sguardo sorpreso.
"Mi suggerì di metterti alla prova...di provare a capire quanto intenso fosse il tuo amore per me..." - mi rispose.
"Viv, io non capisco cosa vuoi dire." - le dissi ancora più incredulo - "Quand'è che mi hai messo alla prova?"
"Sono stata una stupida..." - tornò a ripetere stringendomi con forza la mano - "...ti dissi che non provavo più nulla per te, che non ti amavo più, aspettandomi che tu mi implorassi di non lasciarti. Invece tu sei sparito. Sapevo che avevi il cuore in frantumi. Sapevo di avere sbagliato, di averti ferito a morte ma..."
Viviana prese un respiro profondo prima di continuare.
"...ma gli amici più vicini a te seppero quasi immediatamente cosa era accaduto e fecero in modo di tenermi il più possibile lontana da te"
"Viviana, ma cosa stai dicendo?" - le dissi con la voce strozzata.
"Il giorno che sei ritornato a scuola dopo essere stato male per colpa mia...beh...quel giorno ho fatto sega per aspettarti all'uscita e per cercare di spiegarti"
"Ma io non ti ho vista da nessuna parte" - le avevo risposto.
"La prima persona che ho visto uscire da scuola è stata Federica, la tua compagna di banco. Appena mi ha vista mi ha immediatamente trascinata tra le macchine parcheggiate e poi mi ha spinta a terra. Mi era salita addosso e mi aveva messo una mano al collo. Non riuscivo a muovermi nè a urlare. Probabilmente dietro di lei c'era qualcun'altro dei tuoi amici a coprirla, perchè tu sei passato senza accorgerti di nulla. Mi disse di stare lontano da te, di non cercarti più, di lasciarti stare. Era stata terribilmente crudele con me: mi aveva detto che avevi un'altra, che non mi amavi più, che andavi dicendo che io ero stato il peggior errore della tua vita" - Viviana interruppe il racconto per singhiozzare e lasciare che le lacrime potessero uscire copiose dai suoi occhi.
Ero incredulo. I miei amici erano arrivati a tanto pur di proteggermi? Com'era possibile che Federica, compagna e amica di giochi da una vita, fosse stata capace di fare un gesto simile pur di tenermi lontana da Viviana? Stentavo a credere a quello che Viviana mi stava raccontando.
"E quando ci siamo visti per strada? Eri serena, calma, rassegnata. Com'è possibile che non avessi paura dei miei amici in quel momento?" - le chiesi, incapace di accettare quel suo racconto.
"Mi avevano detto che avevi un'altra. Mi avevano convinta a lasciarti stare in pace. Inconsapevolmente avevano messo alla prova l'amore che avevo per te e avevano avuto ragione. Non ti amavo abbastanza. Non ho avuto il coraggio di chiederti se uscivi con qualcuna per paura di scoppiare in lacrime davanti a te. Avrei dovuto farlo, avrei dovuto buttarmi ai tuoi piedi, raccontarti tutto e implorarti di tornare da me...ma ti vedevo sereno e l'ultima cosa che volevo era farti ancora del male. Quel giorno...quando ti ho visto felice insieme a lei...quando l'hai baciata...avevo capito che non c'era più speranza..."
Viviana aveva chiuso gli occhi ed era rimasta in silenzio per un attimo che mi sembrò eterno.
"Ho smesso di credere nell'amore, ho smesso di credere in tutto. Ho iniziato a frequentare quei ragazzi che tu sai. Mi promettevano che sarei stata bene. Mi hanno fatto provare il fumo, che era riuscito a farmi rilassare. Poi mi hanno fatto provare altre porcherie...stavo bene per qualche minuto e tornavo a stare anche peggio di prima. Gliela davo in cambio della roba, sesso in cambio di merda. Ormai non mi importava più nulla se non riuscire a stare bene e cercare di far durare più a lungo possibile quei pochi minuti di felicità. Finchè..." - Viviana si era interrotta improvvisamente.
La sagoma di sua madre era ferma sulla porta di ingresso della stanza. Sebbene sua madre stesse ascoltando, Viviana era decisa a raccontarmi tutto fino alla fine: "...finchè ho chiesto a chi mi passava la roba di darmi qualcosa che mi facesse stare bene ancora di più e poi...non ho capito più nulla...e mi sono risvegliata qua".
Ancora una volta il mio cuore era a pezzi. Sentire tutto quello che mi aveva raccontato Viviana era stato anche peggio del momento in cui mi aveva lasciato.
Viviana è il nome della mia ex. E' stata la mia prima cotta, il mio primo grande amore.
Non so ancora se torneremo insieme, se riuscirà ad uscire dal tunnel della tossicodipendenza.
Quel che so è che dopo il suo racconto niente non sarà più come prima.