Un figlio devastato dalla guerra, una madre perdutamente innamorata della sua dolce creatura, l'amore incestuoso che esplode improvvisamente.
N.B. i protagonisti si intendono maggiorenni e consenzienti
Lo scoppiettio del fuoco, l'aria fresca che sferzava i nostri corpi, i nostri vestiti gocciolanti stesi sui rami degli alberi attorno a noi: era finita così la nostra battuta di pesca al lago, la tua soluzione per ritrovare me stesso.Dopo anni passati lontano da casa sotto le armi ero finalmente ritornato tra le tue braccia.
Ti avevo stretta a me come se fossi la mia ragazza, ti avevo baciata sulle guance cercando di soffocare quella folle e proibita attrazione che avevo per te.
"Il mio bambino!" - avevi urlato venendomi incontro a braccia aperte e stringendomi a te con forza.
Quell'abbraccio, il calore del tuo corpo, il tuo indimenticabile profumo erano riusciti per un istante a cancellare dalla mia mente
il rombo dei bombardieri che volavano sulla mia testa e le esplosioni delle bombe che uccidevano persone innocenti a pochi metri da me.
Aver prestato servizio nei marines, aver vissuto per anni lontano da casa quell'inferno mi aveva svuotato completamente l'anima:
fino a quel momento nella testa avevo il terribile suono della mitraglietta che usavo per tenere lontano da me il terribile mostro della morte.
Adesso improvvisamente era sparito tutto, riaccendendo dentro di me un indomabile fuoco di passione e desiderio e la voglia di tornare a vivere.
"Come stai?" - mi avevi chiesto sorridendo sebbene sapessi già la risposta.
Devastato. Ero devastato, ma vivo. Uno zombie che finalmente tornava a essere umano grazie a te.
Al tuo caldo abbraccio era seguito quello di papà, orgoglioso di avere in casa un difensore della patria.
Mi avevate accolto come un eroe di guerra, una guerra che, dentro di me, aveva perso con il tempo il suo significato.
Avevo ucciso centinaia di persone, alcune delle quali innocenti, disarmate, miseramente povere.
Le avevo uccise convinto di esportare democrazia nel loro paese, sicuro di star difendendo i confini del mio paese fuori dal mio paese.
Tutte quelle convinzioni, man mano che vedevo scorrere il sangue di fronte a me, erano sparite trasfomando in una terribile tortura i miei ultimi mesi di guerra.
Durante quegli ultimi giorni prima di tornare a casa avevo iniziato a trascinarmi per il campo cercando di concentrarmi sul rientro a casa,
cercando di fuggire dagli orrori che avevo vissuto.
"Vi voglio bene" - avevo sussurrato mentre pranzavamo insieme.
Il mio viso triste e quelle tre parole erano bastate a farti capire quanto dolore avevo dentro.
Tu, la donna della mia vita, mi avevi allevato, visto crescere e andar via di casa, tu, più di ogni altra donna, riuscivi a capire quanta morte albergava dentro di me.
Avevi fatto finta di nulla di fronte a papà. Terminata la cena, dopo aver rassettato casa, ti eri venuta ad accoccolare sul divano accanto a me,
proprio come facevi una volta, prima che mi arruolassi. Ti eri messa a piangere in silenzio mentre la tv trasmetteva una commedia. Piangevi a causa mia.
Non erano lacrime di gioia quelle che uscivano dai tuoi occhi, gioia di riavermi a casa, erano lacrime di terrore, il terrore di avermi perso per sempre.
Ti avevo accarezzato i capelli in silenzio: "Sto bene, mamma" - ti avevo sussurrato senza che tu mi avessi chiesto nulla - "adesso, accanto a te, sto bene".
Mi avevi guardato negli occhi per sincerarti che non stessi mentendo.
Di colpo quel tuo sguardo aveva acceso ancora una volta in me una vampa di desiderio inspiegabile,
una voglia irrefrenabile di stringerti ancora più forte e sentirti mia.
Erano anni che papà aveva smesso di guardarti, anni che il tuo essere donna veniva umiliato da quell'essere ipocrita tutto casa, lavoro e chiesa,
che ascoltava in silenzio i predicozzi del pastore sull'amore senza capire il significato della parola stessa e che si sentiva orgoglioso di un figlio
partito per la guerra che aveva ammazzato centinaia di persone.
"Ti amo" - ti avevo detto stringendoti ancora più forte e poggiando le mie labbra sulla tua fronte.
"Anche io" - mi avevi risposto con la voce roca, carica della stessa emozione che avevo messo nelle mie parole.
Eravamo rimasti abbracciati in quella posizione a guardare la tv per tutta la notte.
Papà dopo un po' era andato a dormire in camera lasciandoci soli.
Ne avevamo approfittato per metterci più comodi, coprire i nostri corpi con una coperta.
Ci eravamo addormentati così, l'uno nelle braccia dell'altro mentre la tv accesa continuava a trasmettere nella stanza immagini che nessuno guardava più.
Mi ero poi svegliato di soprassalto. Riaperti gli occhi mi ero ritrovato davanti il tuo volto terrorizzato, i tuoi occhi preoccupati che mi guardavano.
Mi avevi dato alcuni schiaffetti sul viso per svegliarmi, per trascinarmi via dall'incubo che inconscentemente stavo facendo.
Avevo iniziato ad urlare nel sonno, a fuggire dalle bombe e dall'incubo della guerra che ogni notte mi veniva a trovare dilaniandomi l'anima.
La mia fronte era sudata e il tuo viso sconvolto: le mie parole nel sonno dovevano essere state terrificanti.
Dopo esserti assicurata che avessi ripreso conoscenza ti eri alzata per andare in cucina e ritornare da me con un bicchiere d'acqua.
Mi avevi guardato sorseggiarlo ed infine avevi ripreso la posizione sul divano accanto a me sistemando la coperta.
"Domani andiamo al lago" - mi avevi detto, sicura che quel luogo sarebbe stato in grado di farmi tornare indietro nel tempo.
Riuscimmo a superare quel che restava della notte abbracciati teneramente.
L'indomani mattina dopo aver fatto colazione con papà eravamo rimasti nuovamente da soli. Ti eri allora data da fare per preparare l'occorrente per andare al lago a pescare,
canne, esche, lenze, ami e infine un cesto di frutta per poter fare merenda.
Eravamo partiti alla volta del lago; la nostra solita barca ci aspettava ormeggiata al pontile.
Erano passati anni da quando facevamo battute di pesca tutti insieme ma il lago, la barca, il pontile erano rimasti uguali.
Dopo aver acceso il motore della barca e aver mollato gli ormeggi, ci dirigemmo nell'angolo di lago dove eravamo soliti andare a pescare,
un posto incantevole tra le canne dove molti pesci trovavano rifugio.
Il silenzio della natura, dopo aver spento il motore della barca, cominciò a fare effetto su di me e a lenire le mie pene.
Buttammo un po di pastura in acqua sistemando sistematndo le canne sul bordo della barca. Infine eravamo rimasti in silenzio a fissare lo specchio di acqua.
Pian piano i ricordi di quando ero bambino e poi ancora ragazzo cominciarono a riaffiorare scacciando via dalla mia mente il rumore delle granate che esplodevano.
Le giornate di sole passati seduti in riva al lago, il tuo corpo nudo che prendeva il sole, gli scherzi che ci facevamo tirandoci addosso l'acqua.
Proprio nel momento in cui stavo ritrovando la tanto sospirata serenità il rumore dell'acqua agitata e della canna che viene improvvisamente
strattonata mi riportò alla realtà: qualcosa di grosso aveva abboccato alla canna che tenevi in mano.
In pochi istanti la canna fu trascinata via e con lei tu, incapace di divincolarti in tempo. Eri finita di colpo in acqua senza riuscire nemmeno ad urlare.
Preoccupato per la sorte che avresti potuto avere non esitai a tuffarmi per raggiungerti e assicurarmi che non venissi trascinata via.
Il grande spavento si concluse con una gran risata: dopo essere risaliti sulla barca, con i vestiti zuppi, decidemmo di guadagnare la riva.
La temperatura primaverile non era sufficiente a lenire la sensazione di freddo che i vestiti zuppi ci provocavano per cui,
mentre mi prodigavo ad accendere un fuoco tu avevi iniziato a spogliarti e a stendere i tuoi vestiti sui rami degli alberi che ci circondavano.
Feci lo stesso con i miei vestiti dopo avermi assicurato di aver alimentato a dovere il fuoco. Mentre li sparpagliavo sui rami tu avevi provveduto a stendere a terra
non molto distante dal fuoco una coperta.
"Vieni, abbracciami, ho freddo" - mi avevi detto guardandomi con aria supplichevole
Mi ero disteso accanto a te e ti avevo stretta a me per tenerti caldo.
Il tuo viso si era accoccolato sul mio petto, avevo parte dei tuoi capelli sul viso ma non provavo alcun fastidio.
Rimanemmo fermi, nudi, in quella posizione per diversi minuti.
Poi, di colpo, avevo sentito muovere il tuo viso. La tua bocca aveva raggiunto la mia pelle e aveva iniziato a baciarla con dolcezza.
Con gli occhi chiusi, presa a darmi baci, avevi risalito il mio petto per arrivare al collo, al mento e infine alla bocca.
Schiusi le labbra in modo naturale, come un bocciolo che dopo una notte fredda, si apre al tepore dei raggi del sole.
Le mie labbra cominciarono a seguire la danza delle tue. Abbiamo iniziato a baciarci come due semplici innamorati,
uscendo finalmente dagli scomodi panni di madre e figlio e trasformandoci in amanti.
Quel che avvenne dopo il bacio fu indimenticabile: i nostri corpi si unirono in un amplesso incredibile.
Il mio sesso, avvolto dalla tua carne rovente, venne dolcemente coccolato e massaggiato fino all'orlo dell'orgasmo.
Rimasi ad ammirarti danzare sopra il mio corpo, gondendo della vista del tuo volto sconvolto dal piacere, un piacere che probabilmente avevi dimenticato negli anni.
Mi prendesti per mano trascinandomi insieme a te fino all'apice del piacere.
Un attimo prima di abbandonarti all'orgasmo mi implorasti di non fermarmi, di venirti dentro, di farti sentire la femmina che da anni avevi smesso di essere.
Non fu difficile riuscire ad accontentarti: scaricai dentro di te anni e anni di infelicità, liberandomi con quell'orgasmo dalle catene del mio passato.
Quell'amplesso, quei pochi istanti di piacere furono il giro di boa di entrambe le nostre vite.
Scoprirci amanti portò finamente la serenità nelle vite di entrambi.