Disabile.

Chiudo la stagione dei miei racconti con uno abbastanza forte, probabilmente offensivo o disgustoso per chi non conosce il mondo dei disabili, persone meno fortunate ma spesso capaci di amare in modo più intenso. Quello che leggerete è puro frutto della mia fantasia, i protagonisti si intendono maggiorenni e consenzienti.

P.S. buone vacanze.

Disabile, handicappata, ritardata, scema...questi sono alcuni degli epiteti che spesso la gente usa per definire alcuni esseri umani diversi, ma pur sempre esseri umani.
Si racconta spesso dei non vedenti che sviluppano gli altri sensi per compensare la mancanza della vista, ma nessuno parla della capacità di amare che sviluppano questi esseri che possiedono meno personalità e che il mondo intero li marchia come deboli.

Io, che ho vissuto per molto tempo con loro, ho imparato a conoscerli, a rispettarli e infine mi son sorpreso ad amarli.
Proprio quest'ultimo verbo, quest'ultimo sentimento, l'amore, se visto dall'esterno, da chi non sa, da chi non capisce, da chi non conosce, può essere considerato un errore.
Son finito in cella per questo, ingabbiato dalla società perchè considerato pericoloso, perchè ritenuto uno stupratore, una persona capace di far violenza
ad un essere umano debole e indifeso, insomma uno squilibrato.
A nulla è valso raccontare quanto fossi innamorato quando ho compiuto quei gesti che tra esseri umani "normali" è catalogato come "fare l'amore".
A nulla è valso raccontare la mia storia con Emma: sono stato giudicato colpevole di aver amato una persona speciale.

Emma l'ho conosciuta nell'istituto dove avevo iniziato a lavorare come assistente. Si trovava lì perchè la famiglia non era capace di accudirla e di far fronte alle sue esigenze.
Si trovava lì perchè, malgrado il denaro e la ricchezza della sua famiglia, che avrebbe potuto tenerla in casa e assumere una persona che si prendesse cura di lei,
Emma era considerata dai suoi parenti una vergogna a causa del suo stato e delle sue capacità.

Non vi racconterò cosa non era in grado di fare, per quello ci sono le carte processuali e le perizie mediche, vi racconterò invece di come Emma era in grado di amare.
All'inizio la trattavo come una delle tanti pazienti della struttura, la aiutavo a mangiare, la accompagnavo a fare esercizi riabilitativi, mi occupavo delle sue necessità
esattamente come facevo con gli altri pazienti dandole le attenzioni di cui aveva bisogno senza pensare troppo al fatto che provasse sentimenti e che
in quella struttura Emma vivesse una profonda e disperata solitudine.
In alcuni momenti di inspiegabile "crisi" infatti Emma iniziava a perdere la testa, a farsi del male fisico, senza che nessuno fosse in grado di capirne il perchè,
senza che nessuno fosse in grado calmarla.
Bisognava allora intervenire con i sedativi, aspettare che Emma perdesse i sensi, riaccompagnarla in stanza e lasciarla riposare per un po'.

Amministrazione regolare per tutti coloro che come me lavoravano in quella struttura e a cui non era permesso provare pena per i pazienti,
il cui mondo speciale era incomprensibile e inaccessibile da noi "normali".
Un giorno però, feci l'errore di provar pena per Emma e da lì iniziò quello che io definisco una storia d'amore e che il resto del mondo dei "normali" ha bollato come
circonvenzione di incapace o ancora peggio violenza.

Quel giorno Emma aveva avuto l'ennesima crisi, era stata sedata e riaccompagnata in camera sua ed era rimasta priva di sensi per un bel po'.
A me era toccato andare a controllare il suo risveglio per capire se fosse in grado di riprendere le attività di riabilitazione che erano previste per lei durante quella giornata.
Mi sedetti accanto a lei e iniziai a osservarla in silenzio mentre pian piano riprendeva coscenza.
Notai allora una lacrima sulla sua guancia. Scendeva lentamente verso le lenzuola mentre Emma si muoveva di tanto in tanto sul letto.
Ne seguì un'altra e, con il passare del tempo, un'altra ancora. Avrei dovuto ignorarle, avrei dovuto far finta di nulla, avrei dovuto pensare che si trattasse di
una reazione fisica, avrei dovuto essere indifferente e professionale.
E invece mi lasciai prendere dal dubbio che quelle lacrime fossero l'effetto di una profonda tristezza, che Emma in quel momento stesse piangendo perchè la sua anima
stesse soffrendo della malattia più grave che possa esistere su questo pianeta tra noi esseri umani: l'abbandono.
 
Mosso a compassione allungai una mano e afferrai la sua: fu così che Emma si risvegliò quel giorno dallo stato di torpore dei sedativi che le avevano dato.
"Ciao" - le sussurrai dolcemente quando aprì gli occhi per fissarmi.
Mi sorrise. Era uno di quei sorrisi grandi che ti fanno capire di essere contenta di stare lì, di essere grata di avere accanto una persona che si degna di parlare
con amore e di tenerle dolcemente la mano.

Pronunciò il mio nome, Emma, capendo poco a poco cosa ci faceva li distesa sul letto. Avvicinò poi la mia mano alla sua bocca e la baciò con delicatezza.
Trattenni le lacrime a stento: davanti a me c'era una persona disperata, una mendicante di amore che apprezzava la mia elemosina, una stretta di mano e un saluto sussurrato.
Le chiesi allora con inusuale dolcezza se preferiva ritornare alle attività di riabilitazioneo se preferiva rimanere lì a riposare.
Mi rispose di voler rimanere distesa un altro po'. Feci dunque per alzarmi: volevo lasciarla sola e andare a occuparmi degli altri pazienti finchè lei
non si sentisse pronta di affrontare il mondo fuori dalla sua stanza.
"No!" - urlò lei stringendomi forte la mano, impedendomi di andar via: era chiaro che voleva che io restassi accanto a lei.
La accontentai, tornando a sedermi e aspettando che fosse lei a decidesse quando potessi andar via.

Portò la mia mano sulla sua guancia, intrappolandola tra il cuscino e il viso e rimase a fissarmi sorridendo.
Di tanto in tanto interrompeva il silenzio calato nella stanza pronunciando il mio nome e facendolo seguire da una piccola risata.
Provavo tenerezza per lei, avevo la sensavizione di riuscire a capire quanto fosse felice di potermi tenere vicino.
Le carezzai il viso con la mano libera. Emma chiuse gli occhi: dall'espressione che aveva il suo viso sembrava stare in paradiso.
Chissà quando era stata l'ultima volta che Emma aveva ricevuto una carezza così - pensai.
E fu così che, mosso da pietà avvicinai il viso e la baciai sulla fronte.

"Bacio" - disse, accompagnandolo da una piccola risata
"Bacio....bacio..." - e altre risatine.
Emma era felice. Le era bastato poco, quel poco che nessuno fino a quel momento si era degnato di darle.
"Torniamo alla nostra giornata? Riprendiamo quello che stavamo facendo?" - le chiesi.
Dopo un istante di silenzio mi rispose di sì: si alzò e si lasciò accompagnare in palestra, dove riprese a fare le attività di riabilitazione.
Convinto che tutto si fosse risolto per il meglio feci per andar via; Emma, accortasi di quello che stavo per fare urlò disperata.
Cominciò a pronunciare il mio nome più volte, in modo ossessivo, facendolo seguire da gesti rapidi e violenti delle mani e muovendo in modo inconsulto gli occhi.
I miei colleghi, preoccupati da una possibile nuova crisi, provarono a immpobilizzarla per imperdirle di farsi del male, ma Emma era riuscita a divincolarsi.
A quel punto mi avvicinai a lei e, piuttosto che usare la forza e aiutare i miei colleghi a immobilizzarla,
la guardai negli occhi e cominciai a pronunciare il suo nome ad alta voce.
Emma cominciò a calmarsi, il tocco della mia mano sulla sua guancia spense in lei ogni agitazione tra lo stupore dei miei colleghi.

Pronunciai ancora una volta il suo nome, poi, con voce calma e dolce iniziai a ripeterle più volte che andavo via solo per un po' e che sarei tornato a riprenderla
più tardi per andare a fare una passeggiata in giardino. Fui abbastanza convincente: Emma cominciò a fare di sì con la testa e mi lasciò andar via senza protestare.
Ripassai a prenderla, come promesso, dopo essermi occupato di altri pazienti. La trovai serena e tranquilla, esattamente come l'avevo lasciata.
I colleghi mi dissero che sembrava essere cambiata: era stata più docile del solito nel fare gli esercizi e spesso aveva pronunciato il mio nome.
Il resto della giornata trascorse normalmente. Emma, con qualche carezza e la promessa che sarei tornato, mi lasciava andar via e, in mia assenza,
era serena ed evitava di fare capricci. Avevo trovato la chiave per entrare nel cuore di Emma: ed ero riuscito con un po' di affetto
a farle dimenticare la sua terribile solitudine. Da quel giorno iniziai a sfruttare a mio vantaggio quanto avevo appreso.
Iniziai a coccolarla, a trattarla con maggiore dolcezza, a essere presente quando parlava, a prestare attenzione alle sue richieste.
Lei ricambiava con enormi sorrisi. Spesso pronunciava il mio nome, accompagnato da risatine.

Nei giorni a seguire non ebbe più crisi, segno che la mia presenza e le mie attenzioni erano sufficienti a farla calmare.
I colleghi avevano preso a chiamarla usando il suo nome seguito dal mio, visto che ripeteva spesso il mio nome quasi fosse una sorta di mantra.
Nessuno, tantomeno il sottoscritto, sospettava che quell'attaccamento a me non fosse semplice riconoscenza per aver scacciato il demone della solitudine, ma amore.
Nessuno, nemmeno io, immaginava che Emma fosse capace di amare.

Una sera, a fine turno, dopo aver messo a letto Emma ed averla preparata per la notte, avevo spento la luce e mi stavo accingendo ad uscire dalla stanza.
"Resta" - mi disse voce supplichevole.
Accesi la abatjour e mi avvicinai a lei.
"Resta" - tornò a ripetere allungando le mani. Afferrò una delle mie mani e con estrema dolcezza la portò al viso.
Continuò a ripetere più volte quel resta, facendo breccia poco a poco nel mio cuore.

"Ok, resto qui ma...devo andare a sbrigare alcune cose prima" - le dissi, facendole capire che per poter restare avrei dovuto chiedere il permesso di fare la notte
ai miei responsabili. Si lasciò convicere e mi lasciò andar: ormai si fidava di me e sapeva che mantenevo le promesse.
Tornai nella sua stanza dopo aver chiesto di passare il turno notturno ad assistere Emma.
Quando entrai Emma mi aspettava sorridendo: si era spostata su un lato del letto facendomi capire che voleva che mi sdraiassi accanto a lei.
Spensi la luce e la accontentai avendo però cura di coricarmi sopra le coperte per evitare lo scandalo qualora qualche collega fosse entrato e mi avesse sorpreso con lei.

Poggiai la testa sul cuscino fissandola nella penombra.
"Buonanotte" - mi disse dolcemente
"Buonanotte Emma" - le risposi accarezzandole con dolcezza il viso.
"Bacio" - mi sussurrò.
La baciai sulla fronte.
"No" - mi sussurrò - "...bacio"
Rimasi interdetto: non capivo cosa intendesse.
Fu lei allora ad avvicinare bocca alla mia schioccando un bacio sulle mie labbra, lasciandomi basito.
"Buonanotte" - mi disse ancora una volta, prima di chiudere gli occhi e addormentarsi.

Passammo la notte insieme. La nostra prima notte insieme. Ci risvegliammo abbracciati, o meglio, mi risvegliai tra le sue braccia
nei suoi occhi grandi che mi guardavano con attenzione mentre le sue mani scorrevano delicatamente sul mio viso. Era serena, felice, probabilmente innamorata.
Non volli interrompere quel momento con gesti o parole; non impedìi alle sue mani di scivolare sul mio corpo e arrivare dove probabilmente erano state
una volta, tanto tempo prima, durante qualche gioco proibito.
Non era innocente, Emma, sebbene qualcuno potrebbe pensare il contrario: era una donna e decise di dimostrarmelo qualche istante dopo.
Mi accarezzò facendomi gemere di piacere, ricambiai con la mia bocca tra le sue gambe fino all'istante in cui il suo miele mi inondò la bocca e i suoi gemiti le mie orecchie.
Passammo un tempo indefinito a coccolarci prima che ciascuno di noi tornasse a interpretare la parte di sempre nell'opera teatrale di cui facevamo parte: lei paziente, io assistente.

Mi feci assegnare al turno serale, con la chiara intenzione di passare a trovare Emma prima che Morfeo la portasse via dal mondo reale.
Avrei voluto augurarle buonanotte, baciarle la fronte un attimo prima che prendesse sonno ma...Emma era donna e desiderava esserlo ancora una volta.
Finimmo per fare l'amore tutta la notte, finìi per godere del suo corpo e delle sue carezze e lei del mio.
Le irrorai le pareti del suo sesso con il frutto del mio piacere mentre lei, tenendomi la testa tra le mani, mi implorava di non fermarmi.
L'idillio finì con l'arrivo dell'alba quando fummo sorpresi insieme abbracciati, completamente nudi e sudati, nel suo letto.

Iniziarono giorni di inferno per me e per lei, tenuti lontani da chi aveva deciso che io avessi abusato di lei, incapace di intendere e di volere.
Non me la fecero vedere nemmeno il giorno della condanna.
Dopo lunghi e interminabili anni di prigionia, mi ritrovo qui, sulla sua tomba, a piangerla quotidianamente per non aver saputo proteggerla da chi diceva di volerla proteggere.
Emma era rimasta incinta, mi avrebbe potuto dare un bambino che probabilmente avrebbe potuto intaccare le ricchezze e la reputazione della sua famiglia.
Decisero di spegnere la vita di un innocente e con essa quella di Emma che, incapace di accettare il corso degli eventi e priva del suo assistente innamorato, decise di togliersi la vita.

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