Una storia triste con finale macabro...
Le onde del mare che si infrangono sulla battigia accompagnano i nostri movimenti.
I sassolini umidi e lucenti appena bagnati dal mare ricordano la pelle lucida della mia asta che scompare ritmicamente dentro di te.
Ogni affondo un tuo sospiro, un'onda di piacere dopo l'alta godiamo insieme in questo splendido amplesso fatto di carezze, baci, movimenti ritmati.
"Non fermarti...sto venendo..." - sospiri eccitata. Seguono gemiti strozzati, brevi, quasi impercettibili, che segnano il momento del tuo orgasmo mentre io continuo a muovermi dentro di te alla ricerca del mio piacere.
Riprendi ad ansimare, ad accompagnare i movimenti del tuo corpo ai miei. Ci muoviamo all'unisono. Sono prossimo all'apice del piacere, sensazioni sempre più intense che dal glande e si spandono per il mio corpo.
"Sto per venire..." - ti sussurro
"Dentro..." - mi rispondi
"Sei sicura?" - ti chiedo mentre comincio a perdere la lucidità
Mi abbracci e con le gambe mi cingi il corpo. Hai rifiutato di usare il preservativo e adesso mi stai chiedendo di goderti dentro.
"Vienimi dentro..." - mi sussurri senza mezzi termini.
Scarico tutto il mio piacere nel tuo sesso, gemo con forza mentre mi stringi a te, mentre il mio piacere schizzo dopo schizzo riempie le tue viscere. Mentre le forze mi abbandonano e giaccio inerme nella tua carne, mentre il mio sesso comincia a perdere di consistenza e piccole gocce bianche si fanno strada sulla pelle di entrambi, mi baci teneramente la fronte. Dietro di noi il mare in tempesta, la spiaggia vuota, l'inverno.
Mi ci hai portato tu qui. Eri sul ciglio della strada che camminavi lentamente e di tanto in tanto ti fermavi al passaggio di qualche auto per alzare la mano e chiedere un passaggio. La leggera pioggerellina aveva bagnato piano piano i tuoi capelli e il bordo del tuo vestito.
Ti avevo riconosciuta al bordo strada e mi ero fermato per offrirti il passaggio che molti, prima di me, ti avevano rifiutato con indifferenza e disprezzo. Sono in tanti a disprezzarti in questo paesino: vivere di stenti, cedere alle lusinghe delle persone sbagliate, illudersi che sia amore e infine venir marchiata dalle malelingue come la rovinafamiglie del paese è la triste storia che ti precede quando tutti ti vedono.
Essere la troia del paese porta solo problemi: le donne ti disprezzano e cercano di tenersi alla larga per paura che i propri mariti possano venire irretiti dal tuo fascino, gli uomini cercano di starti alla larga per evitare che le malelingue offuschino l'onore e la rispettabilità della propria famiglia.
Reietta e odiata, ricevi aiuto solo da qualche anziana mossa a pietà che non si cura delle malelingue.
"Dove andiamo?" - ti chiedo, appena salita in macchina.
"Marinella" - mi rispondi, legandoti i capelli.
Mi indichi il parcheggio vuoto davanti la spiaggia. Ha smesso di piovere ma il mare, sferzato dal vento, ulula e schizza di fronte a noi.
"Vieni." - mi dici aprendo lo sportello e scendendo dall'auto.
Ho il motore acceso, non so se il tuo invito è una ulteriore richiesta di aiuto: potrei salutarti e andar via, visto che il passaggio in auto te l'ho dato e la mia buona azione l'ho fatta.
Fai pochi passi, ti fermi e infine ti giri. Mi guardi. Un ciuffo di capelli, mosso dalla brezza marina ti si agita sul viso. Spengo l'auto e scendo. Mi aspetti immobile, guardandomi, fino a quando ti sono distante qualche metro. Poi ti volti in direzione della spiaggia e cominci a camminare. Ti seguo a poca distanza. Passo dopo passo arriviamo ad una tenda da campeggio nascosta tra due rocce.
Ti chini in avanti per aprire un po' la zip, infili una mano e tiri fuori una tovaglia blu. Richiudi la zip e ti volti verso di me.
"Vieni" - mi dici, tendendomi la mano
Mi avvicino, raggiungo la tua mano con la mia e mi lascio condurre da te in un angolo della spiaggia dove il mare ulula meno e gli spruzzi arrivano radi.
Stendi la tovaglia a terra, ti ci siedi sopra, allarghi le gambe e le braccia.
"Vieni" - mi dici ancora una volta
Non conosco le tue reali intenzioni; spinto da una inspiegabile curiosità mi inginocchio tra le tue gambe e resto a fissarti negli occhi.
Allunghi una mano, la poggi sulla mia guancia e mi sussurri: "...facciamo l'amore."
Non so che risponderti, sono confuso. Avvicini il viso al mio, schiudi la bocca e mi baci: hai deciso tu per entrambi.
Una lacrima scorre lentamente sulla tua guancia mentre, sfinito, dopo aver goduto del tuo corpo, giaccio su di te.
"Non preoccuparti, non posso avere bambini..." - mi dici piano pensando al timore che ti ero venuto dentro.
Capisco allora quanto amara è quella lacrima e quanto triste è la storia che la gente in paese non racconta. Vorrei rimanere lì dentro di te ancora un po', proporti di venire da me e abbandonare per sempre la tua tenda sulla spiaggia. Ma sono un codardo e non sarei capace di combattere la violenza delle malelingue in paese. Mi allontano da te, ritorno in auto senza nemmeno salutarti. Mi faccio schifo.
Nei giorni a seguire ho la mente tormentata da quel gesto che non ho fatto, da quella frase che non ti ho detto. Più volte son tornato in quel parcheggio, più volte non ho trovato il coraggio di scendere e raggiungere la tua tenda. Fino al giorno in cui ho trovato una macchina dei carabinieri ferma nel parcheggio. Mi è bastato tornare in paese per realizzare quanto accaduto; da noi le notizie corrono in fretta, soprattutto quando sono a parlare di te. Due colpi di pistola alla tempia dopo averti fatta inginocchiare.
Un'esecuzione, probabilmente la punizione per aver alzato la tua gonna bisunta alla persona sbagliata. Succede anche questo dalle mie parti.